Il muro marocchino della vergogna

saharawi_flag_500Più di 2.720 km di lunghezza, a circoscrivere una zona militare costellata da bunker, fossati, reticolati di filo spinato e disseminata di mine antiuomo (da uno a due milioni, secondo le stime del Journal of Mine Action). Il campo minato continuo più esteso del mondo, intorno a quello che è il muro più grande del mondo dopo la Muraglia cinese. E probabilmente solo pochi di noi ne hanno mai sentito parlare.

L’ennesimo muro della vergogna corre tra le dune del deserto, lontano dai riflettori, nel Sahara Occidentale, territorio situato ai confini di Mauritania, Marocco ed Algeria. Fu costruito dal 1982 al 1987 dal Marocco, secondo la versione ufficiale per difendersi dalle rivendicazioni indipendentiste del popolo Saharawi, un insieme di gruppi tribali di ascendenza araba che abita la regione fin dal VII secolo d.C. imagesIn realtà l’occupazione militare pare motivata da consistenti interessi economici, dal momento che tra le pareti di pietra si trovano le ricchissime miniere di fosfati del Sahara Occidentale e la costa sull’Oceano Atlantico, una delle più pescose al mondo, dotata di numerosi giacimenti petroliferi ancora inesplorati.

Una ricchezza che il popolo Saharawi ha pagato molto cara. Fin dal 1963 l’Onu inscrive il Sahara Occidentale tra i territori da decolonizzare e riconosce ai Saharawi il diritto alla propria autodeterminazione, che avrebbe dovuto concretizzarsi in modo pacifico, attraverso un referendum. Peccato che tale diritto sia rimasto solamente sulla carta, senza tradursi, nemmeno ai nostri giorni, in realtà. Nel 1975, infatti, il Marocco invase la regione, costringendo migliaia di famiglie a cercare rifugio in Algeria, presso Tindouf, dove vivono tutt’oggi. Da allora la popolazione Saharawi è vittima di continue violenze e sistematiche violazioni dei diritti umani, tra cui torture e scomparse, sotto gli occhi “impotenti” delle Nazioni Unite, incapaci in 30 anni di imporre al Marocco la concessione del referendum e schiacciate dalla posizione filo-marocchina della Francia e dagli interessi economici in ballo.

indexOggi la tendopoli di Tindouf, distesa su un altopiano di sabbia e sassi, conta una popolazione di circa 200.000 persone e ha dato vita ad “una delle esperienze politiche e sociali più interessanti del nostro secolo”, ovvero la costruzione di uno Stato in esilio. Il campo infatti è strutturato in 40 tendopoli, ognuna delle quali assume il nome e le funzioni amministrative di un distretto regionale (Wialaya), a sua volta diviso in 6 o 7 province (Dairas), a cui è stato dato il nome di città del Sahara Occidentale occupate dalle truppe marocchine, per mantenere a livello simbolico l’unità con la terra d’origine, mai dimenticata. È un’organizzazione sociale dove tutti sono chiamati a partecipare con un ruolo attivo, in particolar modo le donne, e dove i bambini possono ricevere un’istruzione di base.

Il popolo Saharawi rimane tuttora prigioniero del medesimo trentennale stallo, ancora in lotta per ottenere quell’indipendenza a cui gli è stato riconosciuto internazionalmente il diritto, ma sempre più sfiduciato verso le eterne promesse dell’Onu. La sua sopravvivenza è legata alla solidarietà internazionale, il successo della sua battaglia non-violenta alla mobilitazione delle coscienze al di fuori dei propri martoriati confini. In questi giorni una loro associazione, Tre giri di te, attraversa il Salento, narrando la storia della propria comunità in ritmi di suggestione antica e di rara bellezza. L’ennesima voce di dolore e di profonda dignità che non vorresti veder scomparire nella notte, quando le luci si spengono.

di Klopf

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