Sabato 7 settembre sarà una giornata di digiuno e preghiera, voluta da Papa Francesco per unire spiriti e popoli in una comune opposizione all’intervento militare in Siria e all’aggravamento delle tensioni che esso comporterebbe in Medio Oriente. All’appello del pontefice hanno aderito confraternite ed organizzazioni umanitarie, associazioni e politici, chiese latino-americane e profughi, cattolici, musulmani, drusi, ismaeliti e laici. Perfino il ministro Lupi, che in Val di Susa non è esattamente un ambasciatore di pace, e il (lui sì) davvero insospettabile ministro della difesa Mauro, con la mano ancora calda per l’accordo con la Lockheed Martin sugli F-35, saranno nel gruppo dei presenti a pancia vuota.
Posto che ogni opposizione alla guerra, ogni ripudio della violenza, è un tesoro prezioso che va valorizzato, difeso ed amplificato indipendentemente dalla voce che lo emette, il grido determinato del papa ha fatto rimbombare per contrasto il silenzio di piombo del pacifismo laico, del pacifismo politico. Sulla prima manifestazione di larga scala ed ampie convergenze contro la guerra in Siria in questi giorni di frenesia militarista è apposto infatti il sigillo vaticano. Un’immagine che non guasta ad un cattolicesimo che cerca di riconquistare un ruolo guida nelle coscienze di fedeli spesso troppo distratti e ad un pontificato che fa della vocazione internazionale il suo massimo punto di forza. E così a movimenti sociali, associazioni, partiti politici e organizzazioni umanitarie non resta che sottoscrivere e unirsi al coro delle voci angeliche che cantano “Mai più la guerra”, cercando al contempo di specificare la propria laicità. In calce, come una nota a piè di pagina.
E noi, dov’eravamo? è la domanda che noi, i pacifisti laici, oggi non possiamo non porci. Forse impegnati a strappare alla crisi qualche briciola con cui riempire stomaci già troppo vuoti per digiunare? Inebetiti di fronte al caleidoscopio di immagini manipolate da propagande incrociate e al frenetico ping pong delle responsabilità? Perché le forme di opposizione all’intervento che il pacifismo laico ha originato non hanno saputo valicare i confini di cerchie ristrette e portare la gente in piazza? Perché l’inchiostro della parola critica non si è trasformato prima in passo e voce collettiva? Perché l’insufficienza delle prove fornite da Washington, la farsa stantìa della motivazione umanitaria, la lampante criticità e nebulosa complessità delle possibili conseguenze non sono bastate a dare vita ad un’ondata di protesta come quella che aveva preceduto il conflitto irakeno?
La pace non è un terreno su cui si può giocare una qualsiasi partita di potere o d’influenza. La pace non è cattolica e non è laica: non si può respingere l’appello del papa perché proviene dal capo della Chiesa, così come non si può permettere alla religione di appropiarsi a titolo esclusivo di un valore universale che dimora in ogni essere umano. Il fatto è che per realizzarla concretamente occorre agire su un piano diverso da quello dello spirito, un piano politico e sociale, altrimenti si corre il rischio di rimanere confinati nella dimensione del simbolico senza riuscire ad agire su quella del reale. Il digiuno è quindi un gesto prettamente simbolico e religioso che deve necessariamente trasformarsi in atto politico se vuole avere un qualche senso, una qualche efficacia.
In un sistema capitalistico ed imperialista, del quale crisi e guerre sono elementi ricorrenti e strutturali per permettere a sempre nuovi cicli di accumulazione del capitale di originarsi, la domanda di pace non può limitarsi ad uno slogan né a un gesto. Si tratta di lottare per un sistema alternativo, al cui interno la guerra non sia più una necessità, non sia più così maledettamente “conveniente”. È una dialettica che non può limitarsi al logoro scontro tra “interventisti” e “neutralisti” all’interno della medesima sfera capitalistico-imperialista, ma che deve potersi evolvere in uno scontro tra questa sfera nella sua totalità ed un sistema completamente diverso, basato su tutt’altri valori. In caso contrario l’ingranaggio è destinato a reiterarsi di continuo, a mietere sempre più vittime, nonostante le mille poteste e tutte le buone intenzioni.
Sabato anche noi, pacifisti e laici, ci saremo e, come scrive Emergency, lo faremo gridando, ancora una volta, il nostro rifiuto della violenza come strumento di aggressione e come strumento di risoluzione delle controversie, la nostra condanna per le armi e gli strumenti di morte che vengono prodotti anche nel nostro Paese, il nostro fermo rifiuto della logica barbara che, ancora oggi, lascia credere che la guerra possa essere una soluzione. Per i cittadini del mondo, la guerra è sempre il problema, e mai la soluzione: “Mai più guerre!”. Anche se forse non digiuneremo, ma scandiremo slogan e stenderemo striscioni. E lo faremo con la consapevolezza che non si tratta più solamente di pregare. Si tratta di esigere.
di Klopf
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