Frammenti di Siria: incontro con Shady Hamady

Stop Blood in SyriaPerchè soltanto ora? Perché il mondo si è accorto della Siria soltanto ora?

È con questa scomoda domanda che Shady Hamady accoglie il pubblico venuto ad assistere alla presentazione del suo ultimo libro, “La felicità araba”, in un sabato assolato d’inizio settembre. Nato a Milano da madre italiana e padre siriano, classe 1988, Shady è oggi una tra le voci più importanti dell’opposizione siriana in Italia. L’attivismo appassionato che lo anima affonda le radici anche nella sua storia familiare, segnata dalle vicende del padre, membro del Movimento nazionalista arabo di ispirazione nasserita, arrestato e torturato nelle prigione di Homs in seguito alla presa del potere da parte del partito Baath nel 1963 e costretto infine alla fuga e all’esilio politico nel nostro paese. Lui stesso, che parla degli occidentali usando il “noi”, non potrà entrare in Siria prima del 1997, anno dell’amnistia generale decretata da Assad, per essere nuovamente costretto ad allontanarsene allo scoppio delle recenti tensioni.

Oggi si invoca a gran voce il pacifismo, ma gli aerei di Assad bombardano la popolazione siriana ormai da anni e solo ora si comincia a risvegliare l’interesse generale dell’Occidente su queste morti. Ho cominciato già nel 2011 a bussare alle porte delle istituzioni europee, a lanciare appelli perché i nostri governi prendessero misure concrete per ostacolare la dittatura: perché si trovasse un accordo consensuale con Iran e Russia, perché venisse imposto un embargo alla fornitura di armi, perché il regime fosse isolato diplomaticamente. Ma il mio appello è sempre caduto nel vuoto.

Su dove stiano il bene e il male nel conflitto siriano, Shady Hamady non ha il minimo dubbio: è Assad la fonte della sofferenza del suo popolo, così come è lui ad aver sganciato le micidiali armi chimiche nella provincia di Ghouta, provocando il massacro che ha suscitato l’indignazione di mezzo mondo. Per averne le prove basta pensare al fatto che i feriti non si sono rivolti agli ospedali nazionali per chiedere assistenza, ma alle strutture autonome, come quelle fornite dalle Ong o da Medici senza Frontiere; o al fatto che le uniche immagini che ci sono arrivate della strage sono state girate da attivisti locali e dalle forze di opposizione, mentre le televisioni governative trasmettevano documentari storici e ignoravano completamente ciò che stava accadendo. È Assad il responsabile di tutto questo e deve essere punito dall’Occidente secondo verità e giustizia.

A chi gli fa notare la difficoltà di ottenere informazioni certe a proposito delle reali responsabilità delle varie forze in campo, Shady risponde con determinazione che questo è il risultato della macchina propagandistica del regime. La rete è l’unico spazio di libertà per conoscere la verità, è sui video di youtube che i nostri figli apprenderanno la storia. Quello a cui assistiamo oggi è un paradosso della testimonianza: i media internazionali e i vari politici continuano a ripetere che è impossibile verificare la veridicità dei video e dei racconti, e così fanno sembrare tutto relativo, come se la Siria fosse una specie di Hollywood che produce finti filmati di guerra. Anche se con altre proporzioni, è quello che succedeva con i campi di concentramento nazisti, dove tutti sapevano, voci giravano, ma si faceva finta di non crederci, di non sapere. Sulla verità non ci può essere alcun dubbio. D’altra parte se si vuole sapere cosa succede davvero, basta fare qualche domanda in un campo profughi.

Qualche problema in più sorge però nella valutazione della diversità e varietà delle forze che compongono l’opposizione ad Assad, un gruppo disomogeneo che include combattenti provenienti dall’intero mondo arabo e integralisti islamici con l’obiettivo di instaurare nel paese un califfato. Lo jihadismo è un fattore esogeno rispetto alla rivoluzione siriana, spiega. La Siria è un paese in cui la pacifica convivenza interreligiosa e interculturale è sempre stata un valore supremo e rispettato, un paese che ha sempre vissuto all’insegna della convivialità. Lo jihadismo è invece un fattore nuovo, che si è sviluppato a causa dell’inasprirsi della repressione dovuto anche al silenzio e all’indifferenza del mondo occidentale, e che è aumentato di pari passo con il diffondersi della povertà e del disagio. Oggi la popolazione è stretta tra due fondamentalismi: quello dei jihadisti e quello dei sostenitori di Assad, ma in Siria non può essere creato uno stato islamico, perché non sarebbe democratico, non rispetterebbe i desideri della gente. Come scrisse un poeta palestinese, “Dio è per tutti, ma la patria è di ognuno”.

Eppure non è l’intervento militare degli Stati Uniti la soluzione che lo scrittore ha in mente quando invoca un’azione occidentale. Un attacco americano non farebbe altro che rafforzare la propaganda del regime, spiega, quella stessa che fin dall’inizio degli scontri sostiene che in Siria non vi sia alcun conflitto, che l’esercito stia annientando dei terroristi mossi da un complotto anglo-sionista-imperialista per destabilizzare la regione e ottenere il controllo del paese, che nega la tragedia dei profughi, che si guarda bene dal mostrare i continui bombardamenti aerei sulla popolazione civile. E così Assad userà l’attacco degli Stati Uniti per dimostrare l’esistenza effettiva di questo complotto anti-siriano e ciò non farà altro che rafforzare la sua posizione. Perciò in Siria si creerà un’ulteriore escalation di violenza: più armi dalla Russia, più pasdaran dall’Iran, più Hezbollah dal Libano, con l’unico risultato che aumenteranno i bombardamenti. Anche se noi, qui in Italia, continueremo a fare sogni tranquilli. Perciò è meglio se gli USA non intervengono: questa situazione non è che il frutto della politica che loro stessi hanno seminato negli anni.

Una volta esclusa l’ipotesi militare, quali sono allora le modalità con cui il mondo occidentale potrebbe aiutare a risolvere la crisi siriana? Secondo Shady, l’Unione Europea deve trovare una politica comune, per esempio impedendo alla Russia l’accesso al Mediterraneo per le proprie navi da guerra. È assolutamente necessario trovare una coesione diplomatica, altrimenti che unione è?

Ma nemmeno questo è sufficiente se non si inscrive in un cambiamento più ampio di prospettiva, ovvero se non crea un rapporto completamente diverso tra Occidente e Oriente. Le dittature arabe sono state al potere per 40 anni con il beneplacito dell’Occidente: nel 2010 Napolitano ha addirittura conferito l’onorificienza di Cavaliere ad Assad. Dato che sono stati creati insieme, i problemi vanno anche risolti insieme e lo si può fare solo provando a guardare la realtà con gli stessi occhi. L’Occidente deve fare lo sforzo di riconoscere e rispettare la civiltà araba e deve riappropriarsi di una prospettiva mediterranea. Il cambiamento infatti sta solo nella creazione di una società davvero cosmopolita. Non possiamo continuare a guardare esclusivamente al nostro giardinetto privato, ai nostri interessi nazionali, ma dobbiamo innanzitutto aiutare la società civile siriana e lavorare nel frattempo per sostituire all’islamofobia un’islamosofia, cioè una conoscenza più profonda del mondo arabo. Non ci sarà mai felicità in Medio Oriente se la Siria non si riappacifica, perchè essa ne è il cuore pulsante. Bisogna realizzare in Siria una cittadinanza universale per ogni religione e cultura, in cui tutto il mondo arabo possa rispecchiarsi.

Con qualcosa anche di molto concreto che i nostri governi potrebbero già impegnarsi a fare, ovvero la facilitazione delle procedure di accoglimento ed inserimento dei profughi che fuggono da questa guerra. Voi siete i messaggeri dei bambini e dei profughi siriani. O rimaniamo nell’indifferenza oppure cominciamo ad indignarci e accogliamo i rifugiati, li aiutiamo. I siriani ci chiedono più solidarietà.

di Klopf

Immagine: liberi.tv


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