Si sa, l’omo è sempre omo. Puoi pensare che uno che passa mesi a combattere nelle terre brulle di Siria non abbia in testa che il combattimento e la più o meno santa causa. Ma non è proprio così. Anche i mujaheddin, infatti, hanno bisogno di donne. Come conciliare la poco eterea esigenza con i rigidi codici dell’integralismo islamico?
A togliere lor signori dall’imbarazzo ci ha pensato per fortuna lo sceicco Mohammad al-Arifi, dignitario saudita, con un appello per l’arruolamento di donne per la jihad in Siria e l’emissione contemporanea di una fatwa che rende religiosamente legittimi i rapporti sessuali dei ribelli islamici in suolo siriano, purché siano celibi o lontani dalle mogli. È una fatwa che li autorizza infatti a stipulare matrimoni della durata di un’ora, con donne non sposate o ripudiate, di età superiore ai 14 anni. Non appena consumato il rapporto (da contenersi, pregasi, entro i limiti dell’ora), il mujaheddin non deve far altro che pronunciare tre volte la formula del ripudio, lasciando la donna sul piatto del combattente successivo.
L’obiettivo del provvedimento? “Consentire ai combattenti di esercitare il loro diritto ai rapporti sessuali, cosa che rafforza il loro coraggio e accresce le loro capacità e la morale durante il combattimento”. Come ritrovino poi la voglia di tornare a combattere, questo lo sceicco non lo precisa.
Non disponendo la Siria di tanta muliebre abbondanza, l’appello è stato esteso attraverso internet alle donne musulmane del mondo intero, alimentando un giro di prostituzione, spesso minorile, che va assumendo proporzioni sempre maggiori e che acquista un insperato successo anche grazie alla promessa di una ricompensa ultraterrena alle pie offerenti. Finora sono soprattutto ragazze tunisine e somale ad aver oltrepassato i confini del paese, spronate per lo più dai genitori. Spesso tornando a casa con in grembo un figlio destinato a rimanere per sempre senza nome perché illegittimo, nato al di fuori del matrimonio da un padre sconosciuto.
Fonte: Ossin.org (Osservatorio Internazionale per i diritti umani)