Spiagge di confine

zcVYnplgPUyL816KVslkX2Qr2bf7hpVQK8vkYUwwywE=--ambulante_spiaggiaSpiagge luoghi di confine. Storicamente limbo di transizione tra terra e mare, tra culture differenti, tra genti, sapori e costumi. Oggi nelle spiagge affluiscono però anche altre differenze, forse mai così stridenti: quelle tra ricchi e poveri, tra lusso e miseria.

La disuguaglianza sempre crescente delle nostre società trova uno dei suoi simboli più efficaci proprio nei nostri litorali. Luoghi di vacanza o di lavoro, qui si incontrano stranieri di ogni dove: ragazzi senegalesi vendono borsette finto Made in Italy a giovani russe dai lunghi capelli biondi, marocchini rifilano occhiali a tedeschi in panciolle, donne filippine massaggiano i piedi di grosse austriache addormentate sotto l’ombrellone. Si suda, in spiaggia: è il sudore di chi lavora sodo alla propria aragostea abbronzatura contro quello di chi, carico di borsoni, oggetti, drappi, macina chilometri sulla sabbia rovente, per sopravvivere. Sudano i venditori ambulanti che scappano da guardie manesche, sudano i vigilantes che li rincorrono.

Ci si arriva in modo diverso, alla spiaggia. C’è che carica il suv di pacchi e orpelli e parte con l’intera famiglia verso la “Bella Italiaaa”, e chi si accovaccia per giorni in un barcone traballante, senza acqua né cibo, senza la certezza di arrivare, carico solamente dei propri ostinati sogni. C’è chi infine ci arriva troppo tardi, su quella spiaggia, come i 6 ragazzi i cui cadaveri sono stati trovati sul bagnosciuga della Playa catanese. Hanno resistito così a lungo per arrendersi proprio lì, a 15 metri dalla riva, un paio di bracciate e nulla più, giusto il tempo di sorpassare la “fossa delle patelle” ed i loro piedi stremati avrebbero incontrato la fine sabbia del Sud. Ma anche saper nuotare è un lusso, un lusso che non tutti possono permettersi.

E così la nostra schizofrenia sociale trova la sua massima espressione, nella spiaggia. A Catania, quel giorno, una grande nave da crociera carica di turisti sbarcava nel porto, poco distante da lì. Accolta a mandorle e limoncello, in attesa che la sua forza d’acquisto si spandesse a macchia d’olio per la città, tra i negozietti di chincaglierie. Pochi metri più in là,  invece, l’ennesimo barcone gocciolava vite estenuate, filtrate dall’imbuto dello stato nelle gabbie disumane dei centri di esplusione. L’esportatore siriano di tappeti, miliardario all’orientale, alloggia in un 4 stelle e gode di sorrisi e premure cortesi. Il suo connazionale, strappatosi con le ultime risorse alla guerra civile, giace su quella battigia, avvolto in un telo di plastica scuro, tra la curiosità sgomenta dei bagnanti in costume. Loro no, non avrebbero potuto spendere che qualche spicciolo.

Rimangono basiti, i bagnanti della Playa. Lo stabilimento è chiuso per lutto. C’è disagio, nello stendersi al sole. Nessuno si azzarda a nuotare nell’acqua cristallina, in quel paesaggio da sogno. Sono sempre meravigliosi, i luoghi dello sbarco. Come se tra l’abisso della disperazione e il culmine della bellezza dovesse stagliarsi un contrasto denso di simbologie. Noi in spiaggia ci andiamo in vacanza. La nostra ombra non è transennata e sbarrata, come i pontili che offrivano sollievo ai venditori ambulanti, ma ricca di fronzoli e tinta a colori sgargianti. Quel mare è per noi frescura e spuma accogliente, le sue onde un moto giocoso. In questo mondo di diseguali, noi siamo i fortunati. Quanto a lungo, non è però dato saperlo.

di Klopf

Immagine primadanoi.it


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