Gli Italiani e l’ABC della democrazia

cultural-decadence-smallSono usciti due giorni fa i risultati dell’analisi condotta dall’Ocse sulle competenze alfabetiche, matematiche ed informatiche dei cittadini adulti di 24 paesi, compresi nella fascia d’età tra i 16 e i 65 anni. Nonostante l’effettiva significanza di questo tipo di rilevazioni sia difficile da valutare oggettivamente, data l’arbitrarietà dei criteri, dei parametri e dei metodi in base ai quali esse vengono condotte, l’immagine che se ne ricava non è affatto confortante. L’Italia ne esce infatti con una sonora bocciatura: all’ultimo posto in assoluto per competenze di lettura, al penultimo per la capacità di far di conto e di utilizzare in modo efficace le tecnologie informatiche.

Un quadro talmente grave da rivelare la presenza nel nostro paese di un radicato, quanto drammatico “analfabetismo funzionale”. Siamo cioè tecnicamente in grado di leggere e scrivere, ma non siamo praticamente capaci di servircene nella vita quotidiana. Non sappiamo compilare in modo corretto una domanda d’impiego, non capiamo del tutto le clausole di un contratto che pur firmiamo, ci smarriamo di fronte a tutto ciò che è scritto, che si tratti delle geroglifiche istruzioni di montaggio di una scrivania Ikea, di un quotidiano dimenticato in un bar, di decifrare i cartelli stradali, di cercare una parola che non conosciamo in un dizionario piuttosto che di azzeccare l’orario dell’autobus nella tabella apposta alle fermate.

Il nostro punto debole? In assoluto la literacy proficiency, ovvero la capacità di “comprendere, valutare, usare e farsi coinvolgere con testi scritti per intervenire attivamente nella società, per raggiungere i propri obiettivi e per sviluppare le proprie conoscenze e potenzialità”. Il 28% degli italiani, infatti, è in possesso del livello più basso di competenze nella lettura, contro il 15% degli altri cittadini Ocse e il 12% dei norvegesi. Significa che quasi un italiano su tre, se legge un libro o qualsiasi altro testo scritto, riesce a carpirne esclusivamente le informazioni più semplici, senza poterne afferrare davvero il senso globale. E in un mondo in cui la capacità di utilizzare gli strumenti informatici come fonte di conoscenza e di operatività è fondamentale – dalle previsioni del meteo, alle destinazioni dei voli aerei alla ricetta del risotto alla milanese – gli italiani vanno a fondo: non solo non conoscono le risposte ai quesiti relativi alla dimensione informatica, ma non riescono nemmeno ad utilizzare il computer per rispondere ad essi durante il test! Se non fosse la realtà di una popolazione, sarebbe una barzelletta divertente…

L’amara conclusione è che il 70% degli italiani risulta dotato di competenze ampiamente sotto la soglia di quel “minimo indispensabile per vivere e lavorare nel XXI Secolo”. Il tasso di analfabetismo funzionale di un paese è inoltre uno degli indicatori comunemente accettati del suo livello di povertà: chi è analfabeta fatica a trovare anche un lavoro di minima qualificazione o, per dirla con le curiose parole di Giovannini, è “poco occupabile”, ma d’altra parte ben più soggetto a manipolazioni politiche e ad ogni tipo di sfruttamento, sia umano che materiale.

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Confronto punteggio medio di literacy ottenuto nei Paesi partecipanti all’indagine PIAAC

Dopo vent’anni di quotidiana e capillare azione mediocrizzante del berlusconismo mediatico, questi risultati non giungono del tutto inaspettati, anche se la gravità della loro nitidezza rimane drammatica. Viene da chiedersi piuttosto se la situazione di sfacelo in cui versa la cultura italiana sia il frutto accidentale e imprevisto di politiche sbagliate e miopie decisionali, oppure se sia la tappa finale di un percorso consapevole di graduale de-pauperamento delle facoltà critiche della pubblica opinione. Un percorso che ha attraversato molteplici nodi: il progressivo aumento dei costi dell’istruzione scolastica, inversamente proporzionale alla qualità degli studi offerti; la regressione del principio di istruzione come diritto universale, accessibile ad ogni fascia di reddito, e lo sgretolamento corrispettivo dell’illusione di scalata sociale delle giovani generazioni; la riduzione della televisione a strumento di controllo e di inebetimento delle coscienze, attraverso la censura dei programmi di approfondimento e la riproposizione ossessiva di quiz, talk shows e intrattenimento di infimo livello; la trasformazione dell’informazione in infotainment, con la scomparsa del giornalismo d’inchiesta e la bulimia di contenuti cronachistico-spettacolari, nonché la ridicolizzazione del ruolo sociale degli insegnanti, resi dalle varie riforme burocrati e usurai di crediti e debiti. Una storia che conosciamo.

E mentre le università si sfasciano sotto i colpi di una silenziosa privatizzazione e capitalizzazione dei dipartimenti, gli studi umanistici vengono derisi come inutili, tagliati, accorpati, abbandonati da un numero sempre crescente di studenti. Mai come oggi, infatti, gli studenti di storia, lettere, filosofia, conservazione dei beni culturali sono stati così poco numerosi, disincentivati dall’ideologia imperante che proclama la validità esclusiva di un sapere tecnico, che sia immediatamente finalizzabile, concreto. Come se in Italia, di questi tempi, esistesse ancora un filone di studi abbastanza “utile” da allontanare lo spettro della disoccupazione… In questo senso i dati dell’Ocse sono estremamente interessanti: la peggior prova di noi la diamo proprio nella capacità di lettura e scrittura, il cuore dell’umanesimo. Quello stesso umanesimo il cui fulcro principale è il conferimento di dignità all’uomo attraverso lo sviluppo della sua capacità di ragionare in maniera autonoma, di esercitare liberamente la propria razionalità, di rapportarsi in maniera complessa e globale alla realtà.

Una società di analfabeti, una società che abbandona e deride il sapere umanistico, non è un semplice fenomeno di costume, una tendenza culturale di secondario interesse, ma costituisce al contrario un problema politico di estrema gravità, che scuote dalle fondamenta le basilari condizioni di possibilità della democrazia stessa. Infatti, come può un analfabeta rimanere critico di fronte alla proposta di programmi politici e all’operato di coloro che egli sceglie come propri “rappresentanti”? Come può anche solo comprenderne i contenuti, se si smarrisce di fronte a prove ben più banali? Se la pubblica opinione viene presentata come un elemento centrale all’interno di ogni sistema democratico, l’evidenza della sua riduzione a gregge ignorante, confermata dalle analisi dell’Ocse, pone un serio interrogativo rispetto alla sua effettiva realizzabilità, svelandone in modo brutale l’ipocrisia di fondo, quella che difende la tesi secondo cui la volontà dei cittadini sarebbe dotata degli strumenti per influenzare e determinare realmente l’andamento della politica.

È un problema che esce dalle mura della tradizione istituzionale e scotta anche nel piatto delle sinistre e dei movimenti sociali. Scotta in primo luogo per chi difende urlando la tesi della democrazia diretta. Come evitare che i cittadini, privati negli ultimi 20 anni di qualsivoglia capacità critica, vengano eterodiretti da chi detiene il potere effettivo, ovvero il controllo dei mezzi tecnici di creazione della pubblica opinione? Come impedire alla democrazia diretta di trasformarsi di conseguenza in dittatura di una maggioranza succube e “analfabeta”? E scotta per gli intellettuali che oggi, proiettandosi indebitamente in esse, credono nelle masse come motore di un possibile cambiamento. Qual è il potenziale rivoluzionario effettivo di popoli ignoranti e sapientemente manipolati?

Sono domande con cui è sempre più necessario confrontarsi, qualsiasi sia la parte politica che si difende, perché interessano lo scheletro stesso del sistema cosiddetto democratico di cui ci proclamiamo tanto orgogliosi da volerlo perfino esportare. Con la preliminare consapevolezza che, se la “massa” rimane priva di qualsiasi educazione politica nonché degli strumenti culturali necessari ad acquisirla, l’unica forma possibile di governo è la dittatura. Aldilà dei nomi più o meno zuccherini con cui si tenta di indorarla.

di Klopf

Fonte Ocse http://skills.oecd.org/OECD_Skills_Outlook_2013.pdf

Immagine imieilibri.it


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