Nicola Zolin non ama le definizioni (“quando devi definire una realtà sei costretto a scegliere qualcosa ed escludere artificiosamente qualcos’altro”) ed in effetti trovare una parola che riassuma le sue scelte di vita non è affatto facile. Alle sue spalle innumerevoli viaggi, fatti evitando di volare, per raccontare attraverso la sua macchina fotografica i volti e le pieghe dei mille mondi attraversati. Un intenso percorso di incontri ed immagini che il giovane “attivista mediatico” vicentino non ha ancora smesso di percorrere. Lo incontriamo nella sua casa “temporanea”, tra gli orti e le cicale dei colli vicentini, per parlare della mostra fotografica sull’Iran che ha appena inaugurato a Bassano del Grappa e provare, attraverso la sua testimonianza, a scoprire qualcosa in più di questo paese spesso citato, di rado capito.
Il lavoro (s)nobilita l’uomo
Il lavoro, ciò che fino a qualche anno fa in Occidente costituiva un polo di sicurezza nella vita dei singoli, la forma della loro quotidiana regolarità e la base della loro progettualità futura, si è trasformato oggi nella massima fonte d’insicurezza ed inquietudine per milioni di persone. La conformazione stessa del lavoro sta subendo evoluzioni sostanziali, che fanno dei vecchi modi di pensarlo e delle tradizionali strutture per normarlo strumenti obsoleti. Tutte quelle conquiste sociali in termini di garanzie e tutele per il lavoratore che si era riusciti faticosamente e progressivamente a strappare al mondo del capitale e che si credevano oramai assicurate ed intoccabili nell’Europa del Welfare State regrediscono sotto i nostri occhi, una ad una, in un movimento che pare inesorabile poiché imputato a cause senza volto, a dinamiche sovranazionali, anonime, incontrollabili ed incontrastabili. Una per tutte, la “crisi”.
Frammenti di Siria: incontro con Shady Hamady
Perchè soltanto ora? Perché il mondo si è accorto della Siria soltanto ora?
È con questa scomoda domanda che Shady Hamady accoglie il pubblico venuto ad assistere alla presentazione del suo ultimo libro, “La felicità araba”, in un sabato assolato d’inizio settembre. Nato a Milano da madre italiana e padre siriano, classe 1988, Shady è oggi una tra le voci più importanti dell’opposizione siriana in Italia. L’attivismo appassionato che lo anima affonda le radici anche nella sua storia familiare, segnata dalle vicende del padre, membro del Movimento nazionalista arabo di ispirazione nasserita, arrestato e torturato nelle prigione di Homs in seguito alla presa del potere da parte del partito Baath nel 1963 e costretto infine alla fuga e all’esilio politico nel nostro paese. Lui stesso, che parla degli occidentali usando il “noi”, non potrà entrare in Siria prima del 1997, anno dell’amnistia generale decretata da Assad, per essere nuovamente costretto ad allontanarsene allo scoppio delle recenti tensioni.
Mettere una croce sopra il pacifismo?
Sabato 7 settembre sarà una giornata di digiuno e preghiera, voluta da Papa Francesco per unire spiriti e popoli in una comune opposizione all’intervento militare in Siria e all’aggravamento delle tensioni che esso comporterebbe in Medio Oriente. All’appello del pontefice hanno aderito confraternite ed organizzazioni umanitarie, associazioni e politici, chiese latino-americane e profughi, cattolici, musulmani, drusi, ismaeliti e laici. Perfino il ministro Lupi, che in Val di Susa non è esattamente un ambasciatore di pace, e il (lui sì) davvero insospettabile ministro della difesa Mauro, con la mano ancora calda per l’accordo con la Lockheed Martin sugli F-35, saranno nel gruppo dei presenti a pancia vuota.
Quando l’immatricolazione all’università si fa in banca
Nessuno di noi si sognerebbe di andare dal salumiere per comprare un paio di scarpe o di cercare un chilo di pomodori dal rigattiere, così come nessun neo-diplomato potrebbe immaginare di dover andare in banca per immatricolarsi all’università. Eppure questo è esattamente quel che accade a Venezia, all’università Ca’ Foscari, dopo l’introduzione della Carta Multiservizi.
La guerra delle immagini e i grappoli d’ossimori
C’è stato un momento preciso in cui l’assuefazione narco-mediatica alle stragi quotidiane di questi due anni di guerra civile in Siria ha ceduto di schianto, facendo irrompere la violenza del conflitto nelle nostre coscienze come una realtà non più trascurabile. In cui il trafiletto è divenuto titolo maiuscolo. Imperativo.
Un CAF lungo alla mattina
Sono le 9.30 di un lunedì mattina di fine agosto, provincia di Vicenza. È il primo giorno di riapertura dopo le ferie e la sala d’attesa del CAF Uil è gremita. Una decina di sedie disposte a ferro di cavallo, in un corridoio corto e stretto. Prendo il bigliettino con il mio numero e mi appoggio alla parete, accennando un “Buongiorno” cui risponde un mormorio sconnesso. Continue reading
CIEra una volta la dignità umana
Il 12 Agosto nel CIE di Crotone, in seguito alla morte di uno degli “ospiti”, è scoppiata una rivolta che ha portato alla chiusura “temporanea”, ma a tempo indeterminato del centro. Non è che una delle continue proteste in cui l’esasperazione dei migranti cerca una qualche valvola di sfogo, nella speranza di essere sottratti ad una condizione di detenzione ingiustificata ed indeterminata. Nel nostro curioso Paese, infatti, chi non possiede un certificato amministrativo finisce internato con il solo timbro di un giudice di pace, mentre chi è stato condannato in ben tre gradi di giudizio scivola indisturbato sui parquets della sua villa di lusso e gioca a birilli con il governo nazionale.
Si Banksy chi può!
Non dev’essere un gran periodo questo per Banksy, il geniale artista della street art, capace di creare icone universali, grazie al suo stile ironico ed inconfondibile e forse anche all’alone di mistero che ne circonda l’identità.
Diventato famoso per le sue incursioni all’interno di musei-monumento, dove appendeva di soppiatto proprie opere (quadri in stile ‘700 con dettagli assurdi, come cortigiane fronzolate con la maschera anti-gas), rischia ora di finirci sul serio su quelle pareti lucide, entrando stavolta dal magazzino e con sotto una bella etichetta in grassetto. Da qualche anno, infatti, i suoi graffiti hanno cominciato ad essere rimossi dai muri, dalle vie delle città, per essere messi all’asta a cifre da capogiro. L’ultimo? La ragazza con un fiore, dipinto con la caratteristica tecnica stencil nel 2008 sul muro di una stazione di servizio di Hollywood. Sarà messo all’asta a dicembre a Beverly Hills ad una quotazione che potrebbe superare il milione di dollari. Gli autori del delitto? I proprietari degli edifici in stato di abbandono o dei muri su cui lo spray dell’artista ha fatto solidificare le sue magie, con la motivazione che le superfici coinvolte sono di loro privatissima proprietà.
Gocce di utopia e proiettili di realtà
Ci sono immagini che bruciano. Immagini che sfondano lo schermo dello spazio e del tempo e si infilano come proiettili nella coscienza del mondo, dissolvendo per un istante la sua consueta patina d’indifferenza. Immagini che diventano istantaneamente simboli.
È un ragazzo che cammina contro un carro armato. Completamente disarmato. Un’uniforme troppo sottile: t-shirt chiara su un paio di jeans, guscio di conchiglia contro l’acciaio più sofisticato del mondo. La sua città brucia, la sua gente manifesta per le strade, cercando rifugio dietro barricate improvvisate ad una violenza esplosa d’un tratto, in un pomeriggio d’estate. Molti amici non sono più lì, a condividere la rabbia. Lui procede a passi lenti, verso il blindato, mentre i suoi compagni fuggono spaventati. Forse cerca dentro di sé una forza che non ha, forse respira profondamente o prega quel dio ora troppo lontano, qualunque sia il suo nome.